BRESCIA – Carlo Mosca, ex primario del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari processato e assolto dall’accusa di aver volontariamente somministrato farmaci letali a tre pazienti affetti da Covid nel marzo del 2020, è rimasto vittima di “un’accusa calunniosa di omicidio, tanto più infamante in quanto rivolta a un medico, ossia a una persona avente vocazione salvifica e non certamente esiziale. Di enormi proporzioni è stata soprattutto l’afflizione arrecata all’imputato, che ha patito un’ingiusta e prolungata limitazione della libertà personale e rischiato di subire una condanna all’ergastolo, con gravissime ripercussioni sul piano sia umano che professionale, cui il verdetto assolutorio può porre solo parziale rimedio”.
Così si esprime il presidente della Corte d’assise di Brescia, Roberto Spanò, nelle motivazioni della sentenza che il 1° luglio scorso ha assolto il medico dall’accusa di duplice omicidio volontario. “Tesi”, “supposizioni” e “sospetti” hanno costituito la linfa vitale che ha cristallizzato l’accusa calunniosa di omicidio” scrive la Corte.
Secondo i magistrati a dar voce alle accuse furono due infermieri, Michele Rigo e Massimo Bonettini (la Corte d’assise ha disposto la trasmissione degli atti alla procura per l’ipotesi di calunnia), che secondo Spanò “hanno orchestrato una manovra di accerchiamento in danno del primario, arrivando perfino a costruire prove false per comprometterne in modo irrimediabile la posizione”. Ma non solo.
Consigliati da un carabiniere i due infermieri hanno provveduto a “reclutare colleghi alla causa, cosa che non ha portato i suoi frutti”, ma anche di portare elementi oggettivi a sostegno dell’accusa di omicidio: “non è un caso che le prove si siano materializzate nel cestino dei rifiuti ove sono state rinvenute due fiale di succinilcolina e una di propofol vuote”.
Che non sia stato il dottor Mosca a piazzarle nel cestino dei rifiuti per la Corte d’assise è sicuro: “Appare difficile pensare – scrive il presidente Spanò – che il dott. Mosca, dopo aver volutamente ucciso dei pazienti, abbia lasciato a bella posta il corpo del reato, derogando ingenuamente alle normali regole sullo smaltimento dei rifiuti proprio quando avrebbe dovuto agire con la massima circospezione”.
Carlo Mosca aveva esercitato per tre anni anche al Pronto Soccorso dell’ospedale di Carlo Poma di Mantova.
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