MANTOVA – Addio al grande Fredòn. Il poeta, all’anagrafe Alfredo Facchini, da sempre considerato il principe del dialetto mantovano, si è spento, all’età di 93 anni che aveva compiuto il 15 gennaio scorso.
Ha scritto decine di libri di poesie ma anche di barzellette. E che dire delle sue “quartine” che componeva all’istante, qualunque fosse la situazione da raccontare, e che facevano sempre rimanere stupiti chi le ascoltava: un talento naturale Fredon che aveva fatto dell’ottimismo e della voglia di vivere le sue parole d’ordine.
Bellissimo era ascoltare quando raccontava della sua nascita avvenuta nel lontano e freddo gennaio 1929, uno dei mesi più freddi di sempre. Nacque in Cantarana, nel cuore “ad Fera Cadena. Il nome Alfredo i genitori lo scelsero proprio per il freddo che faceva: venne battezzato alla svelta in sant’Egidio proprio per evitare che si gelasse. Anche se alla nascita “pesavo 6 chili” come tanta volte raccontava, era pur sempre un neonato e non era il caso tenerlo fuori con le temperature di quel gennaio glaciale.
Fin da bambino il piccolo Alfredo face capire che sapeva il fatto suo, e lo dimostrò ben presto quando da ragazzino iniziò ad annotare i bombardamenti aerei su Mantova. Tanti anni dopo, nel 2004, da quelle pagine scritte ancora con pennino e inchiostro, arrivò il libro “Quaderno a righe”: incursioni aeree su Mantova. Testimonianze di un ragazzo.
E fin da piccolo dimostrò di avere un’incredibile vena poetica. Impossibile citare tutti i titoli dei suoi libri, solo per ricordarne alcuni “Saggezza popolare” “Ris e fasöi”, “Mantoa in dal cör”, “Strace ‘d poesia. Antologia di poesie dialettali mantovane”, “Osé e dintorni. Barselete senza riguard in dialet mantoàn”, “T’ha fat… fredón! ‘Na dolsa e ‘na brüsca” e tanti altri, tutti con il dialetto mantovano grande protagonista, quel dialetto che Fredon ha tentato di difendere a tutti i costi, fondando anche insieme ad altri poeti e artisti nel 1972 il “Cenacolo dialettale Al Fogolèr”.
Era una persona dotata anche di una grande sensibilità (non era raro vedergli scendere una lacrima mentre declamava alcune poesie che gli ricordavano la Mantova della sua infanzia e quella mamma tanto amata), e di un profondo senso critico verso una società che cambiava velocemente, e spesso non in meglio.
E faceva emozionare praticamente sempre chi lo ascoltava: del resto non era possibile fare altrimenti sentendo alcuni autentici capolavori come “Tramont in sal lagh ad s’ora” o “Sant’Ansèlom”.
E che dire della sua attività di presentatore? Quanto andava fiero di essere stato lui tra i conduttori della serata inaugurale del Caravel e di aver presentato alcuni degli artisti di fama internazionale che arrivavano a Mantova negli anni ruggenti della discoteca di viale della Favorita.
La vita non è sempre stata generosa con Fredon: rimase vedovo giovane dalla prima moglie e nella poesia dedicata ai due figli più grandi con quel finale “….Tra gioje e dölör, qualcosa è restà…..Do gran creatüre ch’am ciama: <<Papà>>” c’è dentro tutta la sofferenza di quel momento ma Fredon, sempre con il suo inseparabile ottimismo, andò avanti e più in là negli anni si risposò, ed ebbe un’altra bambina. Diventò un nonno felice e non c’era volta in cui non rimarcasse l’unità della sua grande famiglia.
Amava viaggiare, ancora negli ultimi anni prepandemia se ne andava almeno un paio di volte l’anno in mte lontano: Africa, Australia, Messico, Asia: “ad Honk Kong poi c’era il suo amico Ugo Conta e la città la conosceva a menadito”.
Per i suoi meriti era stato nominato Cavaliere della Repubblica.
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