MANTOVA – “Il fallimento del Sistema sociosanitario lombardo” questo il titolo del convegno organizzato dalla CGIL per fare il punto, dopo 5 anni dall’entrata in vigore della Legge 23 di Regione Lombardia, sulla riforma del sistema sociosanitario lombardo.
Quello che è emerso, ma già dal titolo non ci si aspettava nulla di diverso, è un sistema che ha fallito. Sotto accusa: la presa in carico dei pazienti cronici: “un fallimento visto che ha registrato un’adesione al di sotto del 10%; senza dimenticare il dimezzamento dei dipartimenti di prevenzione sul territorio e del personale relativo, la mancanza dei presidi territoriali come i Presst e i Pot, rimasti solo sulla carta e ancora, la mancata valorizzazione dei medici di medicina generale”. Ha commentato Donata Negrini, segretaria CGIL Mantova.
La scomparsa delle Ats a favore di un’unica azienda con funzioni di pianificazione e il ritorno ai vecchi distretti, le Unità Sociosanitarie Territoriali.: questa la parte centrale della riforma proposta da Antolella Forattini, consigliere regionale del partito democratico. All’interno di questi ci sarebbero i vari dipartimenti ai quali farebbero capo anche i vari medici di base e i pediatri. Questi distretti potrebbero essere più vicini al territorio e, così facendo, si potrebbe evitare anche l’eccessiva ospedalizzazione”.
“Dal 2010 al 2018 in lombardia – commenta Lucilla Tedeschi del Forum Per il diritto alla Salute – c’è stata una riduzione del 6,8% dei posti letto nel pubblico, del 16% delle lungodegenze, mentre nel privato non c’è stata nessuna riduzione. Anche a livello ambulatoriale c’è stata una grande riduzione dei servizi: nel pubblico registriamo il 15% in meno di servizi, nel privato, invece, un aumento del 6%. Senza dimenticare l’allungamento delle liste di attesa e la qualità dei servizi che non è migliorata”. Una gestione sbilanciata verso il privato, dove si può assumere chi si vuole, comprare quello che si vuole, mentre nel pubblico servono 8 mesi per acquistare qualsiasi cosa”. I dipartimenti di prevenzione sono passati da 15 a 8, il personale dedicato ridotto da 5000 a 2500.
“Più potere ai sindaci che non possono continuare ad avere un ruolo solo consultivo in materia sanitaria e sociosanitaria” sostiene il dottor Pierpaolo Parogni – che prosegue – i Comuni devono essere parte attiva in un modello sociosanitario ed è necessario, in tal senso, tornare a modello dei distretti in cui il territorio è delimitato da omogeneità territoriale, non dalle Asst”.
“Abbiamo avuto due incontri con l’assessore Gallera e il dirigente Trivelli che ci hanno preannunciato la prosecuzione del confronto su ospedali, medicina del territorio e rsa, ma, a oggi, non abbiamo avuto nessun riscontro” conclude Monica Vangi, della segretaria regionale di Cgil.