PAVIA/MOZZECANE – Tredici persone arrestate e ventidue perquisizioni condotte in tutta Italia, 100 milioni di euro sottratti all’Iva, fatture false emesse per 400 milioni di euro e un danno all’erario di 700mila euro al giorno. Sono i numeri da capogiro dell’operazione “Fuel Discount“ della Guardia di Finanza di Pavia. E tra gli arrestati c’è anche il 46enne veronese Alessandro Cordioli, residente a Mozzecane, titolare della Cordioli Petroli Srl. L’uomo ora si trova agli arresti domiciliari.
A Cordioli viene contestato di essere «anello imprescindibile della catena delle frodi carosello ideate, quale maggiore cliente di Tecnopetrol, con la funzione principale di rivendere sul mercato gli ingenti quantitativi di prodotto acquistati dalla Tecnopetrol, da cui acquistava sottocosto realizzando operazioni soggettivamente inesistenti di cui beneficiava, detraendo la relativa Iva, o in altri casi, prestandosi a fatturare le vendite per Tecnopetrol e ricevendo per il ruolo svolto, provvigioni in contanti».
I militari hanno recuperato 170mila euro in contanti, orologi di pregio e automobili di lusso (Porsche, Ferrari e Lamborghini). Il sistema della frode riguarda il settore dei prodotti petroliferi. A capo dell’organizzazione persone vicine agli ambienti della camorra, legate al clan Polverino e anche alla criminalità romana (in particolare alla nota famiglia dei Casamonica). A Cordioli viene contestata l’associazione a delinquere, ma non quella di stampo mafioso.
Ad insospettire le Fiamme Gialle pavesi era stato, già nel gennaio di un anno fa, il continuo transito di autocisterne contenenti idrocarburi dirette ad un deposito con sede a Vigevano, riconducibile alla società «Tecno Petrol» di Milano. L’indagine, culminata con l’arresto di 13 persone (7 finite in carcere e 6 agli arresti domiciliari) accusati di associazione a delinquere, falso in bilancio e autoriciclaggio ha toccato diverse province: oltre che Verona, sono coinvolte anche Milano, Brescia, Roma, Treviso e Pavia. Ma a Verona, avevano sede operativa i più importanti acquirenti che poi vendevano gli idrocarburi direttamente ai distributori.
Gli artefici della frode, infatti, stando alle accuse, avrebbero acquistato il combustibile, tramite società «cartiere» a loro riconducibili, da operatori con sede in Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Romania e Slovenia poi, grazie ad un giro di fatture false complessivamente quantificato in oltre 400 milioni di euro; riuscendo poi a rivenderlo a diversi clienti di tutta Italia o a utilizzarlo nei distributori stradali gestiti direttamente da loro in Piemonte, Veneto e Lombardia a prezzi molto più convenienti rispetto a quelli di mercato.
Al vertice, come mente pensante del gruppo, figurava Vincenzo Lamusta, romano di 45 anni, chiamato dagli altri soggetti il «semidio» o «Gesù», colui che si occupava a 360 gradi della gestione operativa della società; accanto a lui Nicandro Di Guglielmi detto «Romeo», romano di 41 anni domiciliato in una lussuosa villa nel quartiere della periferia di Roma est storica roccaforte dei Casamonica, e Stanislao De Biase detto «Stefano», napoletano di 47 anni, fratello di un soggetto organico al clan camorristico Polverino, attivo nei Comuni a Nord di Napoli.