Operazione “dirty oil”: 5 indagati e oltre 20 milioni sequestrati. Nei guai una società mantovana che commercia prodotti petroliferi

MANTOVA – Si chiama “Operazione dirty oil” quella portata a termine dalla Guardia di Finanza di Mantova che ha portato a sua volta al  sequestro di beni per oltre 20 milioni di euro  e l’esecuzione di misure cautelari nei confronti di cinque responsabili a vario titolo conivoltial a fallimento di una società virgiliana che si occupa del commercio di prodotti petroliferi richiesto dalla Procura di Mantova.  La Suprema Corte di Cassazione a sezione unite, inoltre, ha confermato al decisione del Tribunale di Mantova in ordine al sequestro di oltre 11,5 milioni di euro ritenuti

L’INDAGINE
Si tratta, in effetti, di un’indagine complessa partita in seguito  all’accertamento del reato di omesso versamento dell’Imposta sul valore aggiunto per l’anno 2015  per un importo di oltre 119 milioni di euro,  debito per il quale la società aveva concordato un piano di rientro mediante rateizzazione, il cui versamento tuttavia è stato di fatto interrotto già dopo la seconda tranche. Gli accertamenti eseguiti dalle Fiamme Gialle virgiliane hanno consentito di rilevare analoga ipotesi di reato per l’annualità 2016, periodo di imposta in relazione al quale l’impresa, pur dichiarando la propria posizione debitoria nei confronti del Fisco, ha omesso di versare oltre 73 milioni di euro. Successivamente, l’accertamento è scattato anche per l’annualità 2014 per la quale è stato rilevato e contestato l’omesso versamento di iva per altri 21 milioni di Euro che si sono andati ad aggiungere a quelli già contestati per le due successive annualità. rofitto dei reati tributari.

REATO DI AUTORICICLAGGIO E FALLIMENTO
Nel corso delle indagini è stata inoltre reperita copiosa documentazione sottoposta a sequestro nell’ambito di perquisizioni locali disposte dalla Procura della Repubblica di Mantova, la cui disamina ha consentito di fare emergere una irreversibile situazione  di insolvenza che ha indotto l’autorità giudiziara a chiedere il fallimento della società. Gli amministratori della società  avrebbero, tramite un fittizio contratto di cash pooling (contratto di tesoreria centralizzata tipico dei gruppi di imprese),  trasferito  all’estero, su conti correnti di una società di diritto austriaco detentrice dell’intero capitale sociale della fallita, oltre 75 milioni di euro erodendo il patrimonio finanziario della stessa società.  Il fatto che il denaro, costituente provento dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, sia stato trasferito e reimpiegato attraverso la controllante di diritto estero, sempre riconducibile agli indagati, ha portato alla contestazione, in capo agli amministratori dell’impresa, anche del reato di autoriciclaggio per oltre 255 milioni di Euro. Ulteriore fattispecie di reato fallimentare, concernente la dissipazione del patrimonio della fallita, per un ammontare pari a 500mila euro, è stata contestata in relazione alla cessione di due rami d’azienda di proprietà della società in questione, a favore di altro soggetto economico con sede a Verona, sempre riconducibile ad uno degli indagati.

CINQUE INDAGATI
In considerazione di quanto emerso dalle indagini  è stato eseguito dai finanzieri del Nucleo PEF di Mantova un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni costituenti profitto del reato di omesso versamento dell’Iva  per un importo di oltre 181 milioni di euro. Successivamente  i finanzieri hanno dato esecuzione anche ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Mantova, su richiesta della Procura della Repubblica di Mantova, nei confronti di 5 soggetti indagati, tre dei quali residenti all’estero (Austria e Svizzera), motivo per il quale sono state attivate le competenti Autorità estere per l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari di arresto ed obbligo di dimora emessi nei loro confronti. Contestualmente alla citata ordinanza, è stato inoltre emesso un’ulteriore decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni di colui che è risultato essere l’amministratore di fatto della fallita fino alla concorrenza di oltre 181 milioni di euro (pari alla somma dell’IVA non versata relativamente agli anni di imposta 2015 e 2016 sino ad all’ora accertata, al netto degli esigui versamenti effettuati) nonché il sequestro preventivo del denaro oggetto del reato di bancarotta per distrazione nei confronti della società controllante estera, sempre riconducibile all’amministratore di fatto della fallita, per oltre 75 milioni di Euro (pari alla distrazione accertata).

SEQUESTRO CONTI CORRENTI ALL’ESTERO
In esecuzione dei sequestri preventivi, sono state sequestrate somme giacenti sui conti correnti italiani per circa 12 milioni di Euro, prodotto petrolifero per un valore contabile di oltre 7,5 milioni di Euro, immobili riconducibili agli indagati del valore di 100.000 Euro, polizze assicurative per un ammontare di 150.000 Euro nonché, mediante rogatorie internazionali e la collaborazione delle Autorità giudiziarie estere, sono state individuate e bloccate all’estero ingenti somme di denaro, per diversi milioni di Euro, costituite in particolare da provviste attive depositate su conti correnti esteri riconducibili alle società e agli indagati. A tutto ciò si aggiunge il sequestro di un trust riconducibile all’amministratore di fatto per un importo di oltre 500 mila euro. Sono tutt’ora in corso contatti con le competenti Autorità giudiziarie estere per l’esatta quantificazione delle giacenze sui conti correnti attivi riconducibili direttamente o per interposta persona giuridica alla società fallita e agli indagati.

DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Il 13 novembre 2019 la Suprema Corte di Cassazione Penale ha confermato la decisione del Tribunale di Mantova in ordine al sequestro di oltre 11,5 milioni di euro ritenuti profitto dei reati tributari che la Procura della Repubblica di Mantova ha contestato a seguito delle indagini della Guardia di Finanza e di cui ne aveva chiesto il sequestro. Il giudizio della Suprema Corte trae origine da un ricorso presentato dal curatore fallimentare volto allo svincolo delle somme in sequestro a favore della procedura. Proprio in tale contesto è stato ribadito che tali somme sono state correttamente qualificate come profitto dei reati tributari per i quali si procede e che pertanto debbono permanere cautelate a garanzia della confisca che in caso di condanna per tali delitti, all’esito del processo, è obbligatoria per legge.