Sindacati contro Conte. Le fabbriche andavano chiuse “Gli scioperi non sono la soluzione”

MANTOVA – Proteste e malumori regnano sull’Italia intera, insieme al Covid-19, da ieri sera. Da quando il premier Conte ha annunciato la chiusura di tutto, ad eccezione del commercio al dettaglio e delle fabbriche. Ed è proprio dalle fabbriche, dagli operai e dai sindacati che sono partiti i primi scioperi. A dare il via alle danze, stamani, la Corneliani. Braccia incrociate, mascherine, distanza tra un operaio e l’altro e tanta rabbia, nel video di Filctem Cgil Mantova. “Non esiste salute di serie A o di serie B, esiste una salute unica. Staremo a casa fino a lunedì, siamo cittadini come tutti gli altri e non facciamo produzioni che aiutano a combattere il virus. Prima di tutto la salute di tutti”, il messaggio che lanciano gli operai. Ed è proprio Michele Orezzi, della Filctem, a spiegare le giuste cause dello sciopero: “Non ci sono le condizioni di sicurezza necessarie e implorate dallo Stato per lavorare. Chiediamo a Conte di bloccare tutte le produzioni, tranne quelle che hanno strettamente a che fare con la lotta al coronavirus”.

Dello stesso pensiero Paolo Soncini, segretario generale Uil Cremona Mantova, che dall’annuncio di ieri sera del premier si aspettava una chiusura totale, almeno per la Lombardia. Quella che descrive Soncini attualmente è una situazione lavorativa drastica, dove un banale colpo di tosse genera panico e terrore tra i lavoratori gomito a gomito, dall’alto al basso mantovano. “Discuteremo insieme ai segretari territoriali di Cgil e Cisl con i segretari regionali e chiederemo tutti insieme di chiudere – spiega Soncini -. Stiamo valutando diversi scioperi, stando a casa, ma vorremmo fosse una decisione presa dall’intera Lombardia, tutti uniti”. Un’alternativa, secondo il segretario Uil, potrebbe essere quella di turnarsi in piccoli gruppi, rispettando così davvero le norme di sicurezza che ora sarebbero assolutamente impossibili da rispettare in molte aziende.

Il decreto non andrebbe a braccetto con quella che è l’emergenza, secondo Dino Perboni, segretario generale Cisl Asse del Po; secondo il segretario, infatti, usare gli stessi strumenti di contrasto in tutta Italia, quando l’emergenza sanitaria più grande è in Lombardia, non avrebbe senso. “Ok allo sciopero come risposta immediata, ma quanto durerà? Un giorno? Due? E poi? Non stiamo rivendicando una questione economica, ma la vita. Il Governo deve capire che occorre utilizzare il metodo Codogno e chiudere tutto. Sarà un momento difficile, ma poi ripartiremo. C’è in gioco la vita, e di fronte alla vita, la questione economica deve essere subordinata”, l’amaro appello di Cisl.

Anche Fiom crede che lo sciopero non sia il giusto mezzo per tutelare la salute: “Hanno affidato a noi il controllo del rispetto di norme emanate da un Dpcm, è un’assurdità. In alcune aziende dove siamo presenti si sta facendo il possibile per rispettarle, mi preoccupano le piccole aziende, dove non siamo presenti – spiega Marco Massari, che conclude -. #iorestoacasa deve valere per tutti”.

Cgil Mantova si sta muovendo su diversi fronti, come spiega il segretario generale Daniele Soffiati: “Ci stiamo attivando in vari modi per mettere in atto la cassa integrazione o per segnalare la mancanza di sicurezza dei dispositivi igienizzanti o delle distanze. C’è un fortissimo malcontento, tutte le attività non essenziali devono chiudere, senza se e senza ma”.

L’agitazione aumenta di ora in ora in tutti i settori, anche Femca Cisl Asse del Po, nella figura di Rosaria Sibilia concorda nella necessità di una decisione condivisa da regioni e Stato: “E’ una pandemia, non una banale influenza, non ha senso invitare tutta Italia a stare a casa e poi mandare la gente a lavorare. Se le aziende in mancanza di norme di sicurezza non prenderanno l’iniziativa chiudendo, gli operai sciopereranno, ma non dovrebbe funzionare così, non si dovrebbe giocare con la vita di nessuno”.

Un triste scenario, che sembra essere solo l’inizio.