Gli sforzi delle imprese per attuare strategie di empowerment femminile

Alle Olimpiadi di Tokyo raggiunta la parità di genere, ma nella vita di tutti i giorni le distanze restano. Con il 49% degli atleti donne, le Olimpiadi di Tokio rappresentano un record che però non deve illudere. Ursula von der Leyen, ad esempio, sette figli e un ruolo internazionale di primissimo livello, sa di essere un’eccezione. “Nel prossimo summit del G20 a Roma, in ottobre, io potrei essere l’unica donna e non potrebbe esserci indicatore migliore per capire quanta strada c’è da fare per l’uguaglianza di genere”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea al Women20 Summit che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma. 

Il nostro Paese deve farne davvero molta, di strada. Il tasso di occupazione femminile nel 2020 si attestava al 49 per cento, contro una media europea del 62,5 per cento. L’Italia inoltre registra oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi: il 12% secondo le stime di Eurostat. E il World Economic Forum nel suo Gender gap report 2021 classifica l’Italia al 62esimo posto su 156 economie prese in considerazione 

In questo scenario, sono le aziende che sviluppano politiche a supporto delle diversità e dell’inclusione femminile a fare la differenza. Come Webuild, che ogni anno investe ingenti risorse nella sua strategia di empowerment femminile nell’ambito del suo Piano Esg (Sdg 5 degli obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite).  

L’impegno del gruppo in ambito diversità e inclusione si traduce per esempio in progetti per la formazione dedicata al dialogo interculturale, in iniziative per il mentoring da parte dei lavoratori senior verso i colleghi più giovani programmi di training sulla leadership al femminile nonché collaborazioni con il mondo accademico (ad esempio, borse di studio, premi di laurea, iniziative di recruiting) orientate alle pari opportunità e alla valorizzazione dei talenti e delle professionalità femminili, con particolare riferimento alle lauree Stem. 

La sfida dell’empowerment femminile acquisisce un significato peculiare nel settore delle costruzioni, storicamente a forte prevalenza maschile, anche per la tipologia specifica di lavoro svolto. Nei cantieri Webuild nel mondo le donne costituiscono in media il 7% dei blue collar per crescere al 22% tra i white collar e arrivare al 36% nelle sedi centrali italiane di Roma e Milano. Uno degli obiettivi raggiunti da Webuild a livello di inclusione consiste nell’aver abbattuto i gender pay gap significativi tra fasce omogenee di popolazione corporate. Ma il Gruppo punta anche ad aumentare il numero di donne che occupano posizioni di vertice, incrementando la presenza di lavoratrici nella pipeline dei possibili successori per i ruoli chiave: entro il 2023 i programmi di avvicendamento dei key role saranno presidiati al 20% dalle donne. 

La volontà di Webuild di garantire nuovi spazi alle donne ha spinto il gruppo ad aderire a Valore D, l’associazione di imprese in prima linea per promuovere l’equilibrio di genere e una cultura inclusiva nelle organizzazioni. L’associazione nata nel 2009 conta oltre 230 imprese aderenti, per un totale di più di due milioni di dipendenti e un giro d’affari aggregato di oltre 500 miliardi di euro. L’efficacia delle iniziative di empowerment femminile intraprese dal network si riflette nei risultati conseguiti finora. Per esempio, la metà delle manager che ha partecipato ai programmi di mentorship di Valore D ha avuto un avanzamento di carriera entro un periodo di 18 mesi. 

(Adnkronos)