Lo smartworking proseguirà in 2 imprese su 3, nuovi manager sono ‘remote leader’

Nel 2020, durante le prime fasi dell’emergenza sanitaria, il 72% delle imprese ha introdotto o potenziato il lavoro a distanza per tutti o per una parte dei dipendenti e l’86% di queste ha continuato a operare con questa modalità nel 2021, con i due terzi che proseguiranno anche in futuro. Insieme al lavoro, anche la leadership si esercita sempre più da remoto e necessita di nuove competenze da parte dei manager. Oltre alla capacità di ascolto e all’empatia, caratteristiche condivise con i manager tradizionali e considerate fondamentali rispettivamente dal 26% e dal 23% dei direttori Hr, ai nuovi ‘remote leader’ sono richieste capacità di comunicare efficacemente (24%) e di coinvolgere i collaboratori (19%), abilità di gestione e pianificazione (17%, +13% rispetto ai leader tradizionali), affidabilità e capacità di costruire legami di fiducia (12%, +7%) e attenzione alla misurazione dei risultati (11%, assente fra i leader tradizionali). 

Lo rivela l’Hr Trends & Salary Survey 2021, la ricerca condotta da Randstad Professionals – la divisione specializzata nella ricerca e selezione di middle, senior e top management di Randstad guidata da Maria Pia Sgualdino, Head of Randstad Professionals – in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia ‘Agostino Gemelli’ (Asag) dell’Università Cattolica, che tra l’1 marzo e il 7 giugno 2021 ha intervistato con metodologia Cawi 350 direttori Hr italiani sulle principali tendenze nelle risorse umane. La ricerca quest’anno ha realizzato un focus sulla diffusione dello smart working nelle imprese e sui cambiamenti e le sfide che devono affrontare i responsabili Hr considerando la nuova modalità di lavoro e un uno nuovo stile di leadership che vede il ‘remote leader’ come protagonista. 

“Dalla ricerca emerge come lo smart working – dice Marco Ceresa, Group Ceo Randstad Italia – resterà nella quotidianità delle imprese: ben il 66% di quelle che lo hanno adottato durante l’emergenza continuerà a utilizzarlo anche in futuro. Per adattarsi e avere successo in questa nuova normalità, i manager devono essere ‘remote leader’, cioè leader capaci non soltanto di essere dei ‘capi’ ma soprattutto di prendersi cura delle persone che guidano, in presenza e a distanza. Fondamentali, dunque, diventano la capacità di comunicare efficacemente con i collaboratori, ascoltarli, motivarli e coinvolgerli, ma anche fare squadra, costruire legami di fiducia ed essere in grado di stabilire obiettivi chiari e di misurare i risultati del team”. 

“Cambiamenti di portata così profonda e radicale come quello che stiamo vivendo – dichiara Caterina Gozzoli, direttore Asag (Alta scuola di Psicologia ‘Agostino Gemelli’) Università Cattolica – toccano il tema identitario. L’essere professionisti e pensare di esserlo in un certo modo viene scosso e messo in discussione. Per questo, i lavoratori hanno oggi bisogni più o meno accentuati di essere aiutati a capire e costruire un nuovo senso del proprio lavoro. Si tratta di trovare un equilibrio tra pratiche e significati di valore del precedente modo di lavorare, e spazio e tempo di sperimentazione. Va individuato e compreso cosa è necessario/utile ‘lasciare andare’ per trovare possibilità più funzionali e sostenibili. Conseguentemente per i professionisti Hr diventa cruciale accompagnare tali processi di risignificazione professionale caratterizzati spesso da situazioni di riparo, di demotivazione o di reattività. Si tratta, da un lato, di accogliere e trattare eventuali resistenze e fatiche delle proprie risorse umane, dall’altro di orientare in stretta connessione e coerenza con il management verso obiettivi sostenibili e condivisi”. 

Allo scoppio dell’emergenza sanitaria soltanto il 18% delle imprese ha continuato a lavorare in presenza, il 19% ha introdotto o potenziato lo smart working per tutti i dipendenti e il 53% per almeno una parte dei lavoratori. In un terzo delle aziende che ha adottato il lavoro a distanza, questo era già presente ed è stato potenziato, mentre il 67% lo ha introdotto a seguito della crisi Covid. L’86% ha continuato a utilizzare lo smart working nel 2021, con il 66% che continuerà a utilizzarlo anche in futuro e il 20% che invece ha intenzione di interromperlo.  

Nella grande maggioranza dei casi, la scelta di lavorare distanza è condivisa con il dipendente (83%), mentre solo nel 17% è una decisione unilaterale del top management. Mediamente lavora in modalità agile il 54% della forza lavoro per una media di 2,5 giorni a settimana e amministrazione e contabilità (86%), Hr (81%), It (71%), marketing e comunicazione (70%) e vendite e contatto con il pubblico (67%) sono le funzioni aziendali più coinvolte. Quasi un’azienda su due ha in programma un ripensamento degli spazi di lavoro, di cui il 13% con lo scopo di diminuire gli spazi alla ricerca di maggiore efficienza e il 34% con l’obiettivo di ottimizzarli. 

Le principali iniziative che i remote leader hanno attivato per stimolare il coinvolgimento e mantenere il senso di appartenenza all’azienda dei collaboratori sono la rotazione delle presenze (58%), momenti di condivisione formali (52%) e informali (49%), monitoraggio e iniziative di engagement (31%) e proposte formative per la gestione del lavoro ibrido (22%). Più della metà ha avviato azioni per la condivisione degli obiettivi aziendali e personali con maggiore frequenza (50%), per la condivisione di feedback (55%) e per stimolare la costruzione e il mantenimento dei legami fra colleghi (56%), mentre solo un quarto ha promosso momenti per il recupero delle energie (26%). 

La pandemia e la diffusione dello smart working hanno cambiato anche le priorità sul tavolo dei direttori Hr. La principale sfida che dovranno affrontare nel 2021 è infatti la creazione e il mantenimento di un buon ambiente di lavoro che tenga conto delle specificità del lavoro a distanza o ibrido (52%, +11% rispetto al 2020), seguita dall’impegno per trattenere i migliori talenti già presenti in azienda (46%, +6%) e dall’incremento delle performance e della produttività (46%, stabile rispetto allo scorso anno, quando era in prima posizione). Nella fase di selezione dei candidati da inserire in azienda le caratteristiche più ricercate sono competenze professionali specifiche del ruolo (66%), attitudini relazionali e comunicative (59%), capacità di lavorare in team (54%) e esperienza lavorativa nel settore (49%). 

Per il 51% dei direttori Hr oggetto dell’indagine l’emergenza ha avuto un impatto sul ruolo dell’Hr manager. Il cambiamento è stato positivo per il 35% del campione, che nel 32% dei casi rileva un rapporto più diretto con i dipendenti, un atteggiamento più empatico nei loro confronti (25%) e una maggiore attenzione da parte del top management (17%). Il 16% ha invece avvertito un cambiamento negativo, dovuto soprattutto alle difficoltà nell’applicazione del protocollo Covid (22%) e di comunicazione a causa del lavoro a distanza (16%). Quasi due terzi degli Hr manager sono soddisfatti del proprio ruolo in azienda (+17% rispetto al 2018), in particolare per una maggiore vicinanza e supporto da parte del top management (45%) e una maggior partecipazione alle decisioni strategiche (46%). In futuro, per il 22% il ruolo sarà sempre più quello di un business partner con una forte interazione con la dirigenza, per l’8% implicherà maggiori responsabilità e sfide e per un altro 8% sarà molto orientato allo sviluppo delle carriere e alla formazione dei talenti. 

(Adnkronos)