Nucleare, dai primi reattori a quelli più moderni: differenze e come funzionano

(Adnkronos) – Al via da oggi la Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile che al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha riunito i principali Enti pubblici di ricerca, esponenti del mondo delle Università, associazioni scientifiche, soggetti pubblici operanti nel settore della sicurezza nucleare e del decommissioning, oltre a imprese che hanno già in essere programmi di investimento nel settore nucleare, nella produzione di componenti e impianti e nelle applicazioni mediche nel settore nucleare.  

Enea – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile fa il punto sullo stato della ricerca. Per quanto riguarda la fissione, “i reattori nucleari sono generalmente classificati per ‘generazione’ (I, II, III, III+ e IV) sulla base delle caratteristiche chiave che hanno determinato lo sviluppo e il loro impiego a livello industriale; la Generazione I si riferisce ai primi prototipi che hanno lanciato il nucleare civile di potenza. Ad oggi non vi sono impianti di Generazione I in esercizio. Alla Generazione II appartengono tutti quei reattori commerciali raffreddati soprattutto ad acqua, che hanno portato a maturità le tecnologie dei reattori della prima generazione, aumentandone il potenziale di affidabilità. I sistemi di II generazione hanno iniziato a funzionare alla fine degli anni ’60 e comprendono la maggior parte degli oltre 400 reattori commerciali del mondo (oltre il 90%). Sono reattori che utilizzano sistemi di sicurezza attiva (che richiedono operazioni elettriche o meccaniche avviate da un operatore), anche se questi sistemi sono talvolta integrati in maniera complementare da sistemi passivi (che non richiedono attuazione o operazione da parte dell’uomo). Producono quantità significative di combustibile esausto che necessitano lo smaltimento finale in depositi geologici o ritrattamento”, spiega l’Agenzia.  

I reattori di Generazione III sono essenzialmente evoluzione dei reattori di Generazione II. “I miglioramenti nella tecnologia hanno puntato innanzitutto a estenderne la vita operativa, da 40 fino a 60 anni, l’efficienza e ad accrescerne ulteriormente il livello di sicurezza. In particolar modo nei reattori di Generazione III+ si fa ampio uso di sistemi passivi o attivi di nuova concezione. Oggi sono in esercizio o in fase di costruzione circa una ventina di sistemi di Generazione III+. Resta il fatto che anche per questi reattori, basati sulla tecnologia dei reattori ad acqua, permane il problema di un ciclo del combustibile non chiuso, che richiede lo stoccaggio geologico di una parte del combustibile esausto”.  

“Il vero punto di svolta sono i Reattori di IV Generazione, tra cui i Reattori veloci refrigerati a piombo (Generation IV – Lead-cooled Fast Reactor – Lfr); la fondamentale differenza dei reattori Lfr di IV generazione rispetto a quelli attuali è un sistema refrigerante che utilizza piombo invece di acqua; in questo modo, grazie alle caratteristiche fisiche del piombo, è possibile garantire la presenza del refrigerante in qualsiasi condizione incidentale e garantire un nucleare civile sostenibile, sicuro, affidabile, resistente alla proliferazione – spiega Enea – Questi obiettivi sono raggiungibili, nell’arco di 20-25 anni, massimizzando la ricerca nella termofluidodinamica dei metalli liquidi e nella progettazione del nocciolo (la parte che contiene il combustibile, il vero e proprio cuore della centrale) che permetta la chiusura del ciclo del combustibile, che garantisce il completo riciclo del plutonio e degli attinidi minori, responsabili della radiotossicità dei rifiuti radioattivi”.  

A metà strada fra la terza e la quarta generazione di reattori, si pongono gli Small Modular Reactor (Smr) e gli Advanced Modular Reactor (Amr). “Gli Smr possono essere la risposta immediata alle difficoltà tecniche e realizzative delle centrali di terza generazione – spiega Enea – le dimensioni ridotte (che riducono i costi dei sistemi di sicurezza pur mantenendone immutate le garanzie), la modularità (che permette di realizzare la maggior parte dei componenti in un unico sito industriale per spedirli successivamente alla zona di installazione), l’armonizzazione, almeno a livello europeo, delle procedure di licensing dell’impianto, sono tutti fattori che permettono di rendere il costo del kWh da nucleare concorrenziale con quello da rinnovabili, nonostante la perdita dell’effetto scala. Resta irrisolta la questione relativa alla produzione di rifiuti radioattivi a lunga vita: gli Smr, infatti, sono raffreddati ad acqua e devono utilizzare come combustibile uranio arricchito che a fine utilizzo deve essere gestito come rifiuto”.  

Una ulteriore evoluzione, portata avanti in parallelo alla IV generazione da alcuni partenariati internazionali composti principalmente da soggetti privati, mira a realizzare entro il 2030 i reattori cosiddetti Ads (Accelerator Driven System, letteralmente ‘sistemi guidati da un acceleratore’): “in questo caso, per funzionare, il reattore ha bisogno di neutroni prodotti dall’esterno grazie a un acceleratore di protoni. Il livello di sicurezza è molto maggiore poiché in caso di black out elettrico (evento più rischioso in assoluto per una centrale nucleare) l’acceleratore smette di funzionare e il reattore non ricevendo i neutroni necessari, si spegne. Il refrigerante a metallo liquido, che permette di utilizzare uranio naturale come combustibile, è l’innovazione principale dei più promettenti modelli in studio della quarta generazione, è una caratteristica propria anche degli Amr: oltre a minimizzare il quantitativo di rifiuti a lunga vita prodotti, l’uso di metallo liquido consente anche altri vantaggi, primo fra tutti la possibilità di utilizzare il calore che viene smaltito (quindi sprecato) nel processo di trasformazione del calore in lavoro tipico di qualsiasi ciclo termico”. 

Infatti, “la temperatura alla quale si smaltisce il calore nei reattori raffreddati ad acqua è di poco superiore alla temperatura ambiente, quindi inutilizzabile; negli Amr raffreddati al piombo liquido, invece, la temperatura di smaltimento del calore è molto alta e quindi si può utilizzare questo calore residuo per generare idrogeno (uno dei più promettenti vettori energetici del futuro) o per il teleriscaldamento, rendendo in tal modo più efficiente lo sfruttamento del calore prodotto dalla fissione nucleare”.  

Enea, con i suoi partner industriali, partecipa attivamente ai due principali progetti internazionali: la realizzazione del primo dimostratore di reattore di quarta generazione raffreddato al piombo (Alfred) che sarà realizzato in Romania nei prossimi 10 anni; la progettazione di due Amr, in Francia e Regno Unito, assieme alla start-up newcleo che si propone, tra l’altro, di realizzare reattori che, invece di produrre rifiuti a lunga vita, possano bruciare quelli prodotti nel passato. 

(Adnkronos)