Scala: il 7 dicembre 2023 Prima con Don Carlo, cast stellare e mega produzione

(Adnkronos) – La Stagione 2023/2024 del Teatro alla Scala si apre giovedì 7 dicembre, alle ore 18, con Don Carlo di Giuseppe Verdi nella versione approntata dal compositore per la Scala nel 1884. Come ogni anno lo spettacolo sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura e trasmesso in diretta televisiva su Rai1 e radiofonica su Radio3.  

La Prima sarà preceduta domenica 3 dicembre dall’Anteprima per gli Under30 e seguita fino al 2 gennaio da 7 rappresentazioni tutte esaurite. L’opera, che ha inaugurato la Stagione nel 1868, 1878, 1912, 1926, 1968, 1977, 1992 e 2008, sarà diretta dal direttore musicale Riccardo Chailly sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala con un cast che schiera Francesco Meli come Don Carlo, Anna Netrebko come Elisabetta di Valois, Michele Pertusi come Filippo II, Elīna Garanča come Principessa d’Eboli, Luca Salsi come Marchese di Posa e Ain Anger come Grande Inquisitore.  

Protagonista di non minore rilievo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi. Le scene sono di Daniel Bianco, i costumi di Franca Squarciapino, le luci di Pascal Mérat, i video di Franc Aleu e la coreografia di Nuria Castejón.  

Per il maestro Riccardo Chailly, Don Carlo è il compimento di una riflessione sul potere estesa su tre inaugurazioni di Stagione, dopo Macbeth di Verdi nel 2021 e Boris Godunov nel 2022. Come scrive Michele Girardi, vi è una relazione evidente «tra le tematiche trattate nel Boris Godunov di Musorgskij e nel Don Carlos di Verdi, cioè le logiche spietate dei detentori di un potere assoluto che disintegra l’aspirazione alla felicità individuale e collettiva degli oppressi». Ma si tratta anche di un ritorno al Verdi della maturità dopo le tre inaugurazioni dedicate all’evoluzione delle opere giovanili con Giovanna d’Arco nel 2015, Attila nel 2018 e Macbeth nel 2021 (Chailly peraltro ha proposto anche Aida in forma di concerto nel 2020, dopo averla diretta nell’allestimento di Zeffirelli il 7 dicembre 2006).  

Nel suo nuovo approccio a Don Carlo, che aveva diretto ad Amsterdam nel 2010 in un bell’allestimento di Willy Decker, il maestro Chailly torna con la memoria alle edizioni dirette da Claudio Abbado nel 1968 e 1977, di cui aveva seguito le prove, ma fa riferimento anche allo studio diretto dei manoscritti messigli a disposizione da Ricordi. Come nell’edizione di Abbado, si ascolterà l’introduzione al monologo di Filippo affidato alla fila dei violoncelli secondo partitura e non al violoncello solo come spesso avviene. Con i complessi scaligeri Riccardo Chailly ha recentemente diretto la scena di Filippo con Ildar Abdrazakov nella serata “…a riveder le stelle” del 7 dicembre 2020, l’aria di Elisabetta in concerto con Anna Netrebko e il coro del II atto in disco e in tournée.  

Don Carlo torna al Teatro alla Scala in una grande produzione che rispecchia la doppia natura di dramma storico e manifesto romantico dell’originale schilleriano mettendo in luce gli straordinari artisti e artigiani che operano nei laboratori del Teatro. Un impianto scenico unico si trasforma senza interrompere lo svolgimento dell’azione nei diversi spazi previsti dal libretto grazie alla spettacolare alternanza di colossali elementi scenografici. Verdi propone i temi a lui cari della libertà dei sentimenti, della difficile relazione tra padri e figli e della liberazione dei popoli oppressi sullo sfondo del conflitto tra il potere temporale e quello religioso. Per rendere l’atmosfera sospesa tra ambiente ecclesiastico e secolare il regista Lluís Pasqual e lo scenografo Daniel Bianco hanno fatto riferimento all’uso dell’alabastro nelle finestre degli edifici religiosi ma anche civili e in particolare alla grande finestra della Collegiata di Santa María La Mayor nella città spagnola di Toro. Una grande torre di alabastro è inquadrata in un sistema di cancellate che anch’esse ricorrono nell’architettura religiosa quanto in quella civile. La scena permette di ritagliare nei grandi spazi del palcoscenico i numerosi momenti di intimità e di isolamento che punteggiano la tragedia.  

Don Carlo ci porta dietro le quinte dello spettacolo del potere: anche l’autodafé, cerimonia abbagliante e macabra di autorappresentazione dell’assolutismo, non troppo diversa dai meccanismi della propaganda di oggi, è mostrata soprattutto nel momento della preparazione e solo pochi minuti sono riservati alla ‘festa’ nella sua magniloquente esteriorità. Qui campeggia un colossale retablo dorato e finemente istoriato. Questi spazi sono animati dal pittoricismo dei costumi di Franca Squarciapino, che riprendono l’abbigliamento rappresentato nella ritrattistica del tempo ma lo alleggeriscono nella scelta dei materiali, garantendo facilità di movimento e una certa romantica vitalità ai personaggi.  

L’impianto è documentato ma non necessariamente filologico: pur collocati nella loro epoca, i protagonisti rappresentano emozioni e caratteristiche umane presenti in ogni tempo. Il colore prevalente è il nero, non inteso come espressione di mortificazione o di lutto ma come esibizione di potere e ricchezza: nel ‘500 velluti e broccati neri erano tra le stoffe di maggior pregio.  

La prima assoluta di Don Carlos ha luogo all’Opéra di Parigi (che aveva allora sede nella Salle le Péletier che sarebbe stata distrutta da un incendio nel 1873) l’11 marzo 1867. È la terza opera scritta da Verdi per la Francia dopo Jérusalem (riscrittura del 1847 dei Lombardi alla prima Crociata) e Les Vêpres Siciliennes (1855). Il libretto francese di Joseph Méry e Camille du Locle è tratto dalla tragedia di Friedrich Schiller Don Karlos, Infant von Spanien andata in scena ad Amburgo nel 1787. L’opera, commissionata in occasione della seconda Esposizione Universale di Parigi (il direttore dell’Opéra, Jules Perrin, aveva proposto Don Carlos oppure Cleopatra dal Giulio Cesare di Shakespeare; Verdi aveva pensato a Re Lear ma soprattutto a El zapatero y el Rey di Zorilla prima di risolvere per Schiller), era in cinque atti con balletto secondo l’uso della “grande boutique” e proclamava i valori della libertà personale e politica contro l’oppressione dell’assolutismo religioso e statuale.  

La prima italiana segue di pochi mesi quella parigina: Angelo Mariani dirige Don Carlo, con libretto tradotto in italiano da Achille de Lauzières, a Bologna il 27 ottobre, protagonista Teresa Stolz. La Stolz è Elisabetta anche nella prima dell’opera al Teatro alla Scala, diretta da Alberto Mazzucato il 25 marzo 1868: si eseguono i cinque atti in lingua italiana con il balletto. La stessa versione in cinque atti e ballabili inaugurerà la Stagione scaligera il 26 dicembre 1868, sul podio Eugenio Terziani, e il 26 dicembre 1878, direttore Franco Faccio. Nel frattempo, per la prima al Teatro di San Carlo di Napoli nel 1872 Verdi aveva modificato il duetto tra Filippo II e il Marchese di Posa e scorciato il duetto finale tra Carlo ed Elisabetta.  

Il lavoro di rimaneggiamento riprende e si intensifica insieme a Du Locle per la versione francese di Vienna nel 1882 (“a Vienna – scrive Verdi – i portinai chiudono la porta principale delle case le opere lunghe si amputano ferocemente dal momento che mi si dovevano amputare le gambe ho preferito affilare e adoperare io stesso il coltello”) e si conclude per la produzione in lingua italiana del 1884 al Teatro alla Scala. Qui Verdi opera non solo una serie di tagli, ma un ripensamento profondo della struttura e in certo modo della natura stessa dell’opera: sopprime l’intero primo atto (ovvero l’antefatto che narra lo sbocciare della passione tra Carlo ed Elisabetta nella foresta di Fontainebleau); riscrive i duetti Carlo-Rodrigo e Filippo-Rodrigo dell’atto secondo; sostituisce l’inizio dell’atto terzo con un preludio e sopprime il successivo balletto; riscrive gran parte della scena Filippo-Elisabetta dell’atto quarto col successivo Quartetto; abbrevia il finale quarto, a partire dalla morte di Rodrigo; riscrive e abbrevia la conclusione dell’atto quinto. Ne emerge un dramma nuovo, più sintetico e agile, in cui il fattore politico e la figura di Filippo II prevalgono su quello psicologico/sentimentale e sui personaggi di Carlo ed Elisabetta. Nata da necessità pratiche, la revisione finisce per rispecchiare la propensione di Verdi alla stringatezza drammatica: “i tagli – scrive – non guastano il dramma musicale, anzi accorciandolo lo rendono più vivo”.  

Nel 1886 Verdi approva, pur senza esservi intervenuto personalmente, una nuova versione proposta a Modena, che ripristina il primo atto secondo l’edizione Ricordi facendolo seguire dagli altri quattro come ridisegnati nell’edizione scaligera del 1884.  

La prima dell’opera al Piermarini risale al marzo 1868, seguita dalle prime due inaugurazioni di stagione nel dicembre dello stesso 1868 e dieci anni più tardi e quindi dalla prima assoluta della versione in quattro atti nel 1884. Nei decenni successivi Don Carlo appare nei cartelloni con scarsa frequenza: Tullio Serafin dirige l’edizione in quattro atti nel 1912, Arturo Toscanini nel 1926 e 1928 sceglie i cinque atti. In seguito sceglieranno i quattro atti Fernando Previtali (1947), Antonino Votto (1952 e 1954 con Maria Callas come Elisabetta), Gabriele Santini nel 1960 e 1963. Don Carlo torna a inaugurare la Stagione nel 1968, sempre in quattro atti, con la direzione di Claudio Abbado e la regia di Jean-Pierre Ponnelle. Il cast comprende Rita Orlandi Malaspina (poi anche Raina Kabaivanska, già presente insieme a Leyla Gencer nel 1963), Bruno Prevedi, Fiorenza Cossotto, Piero Cappuccilli e Nicolai Ghiaurov. Lo spettacolo sarà ripreso nel 1970 con importanti novità nel cast, tra cui Plácido Domingo e Shirley Verrett. Per la Stagione del Bicentenario del 1978, che si snoda senza soluzione di continuità dal 7 dicembre 1977 al 1979, Abbado propone la versione in cinque atti in una storica produzione di Luca Ronconi con le scene di Damiano Damiani e due cast straordinari: Mirella Freni e Margaret Price come Elisabetta, José Carreras e Plácido Domingo come Don Carlo, Nicolai Ghiaurov e Evgeni Nesterenko come Filippo II, Piero Cappuccilli e Renato Bruson come Posa, Elena Obrazstova come Eboli. La passione abbadiana per l’opera si arricchisce di un ulteriore capitolo con l’incisione per Deutsche Grammophon con i complessi scaligeri dell’originale francese in cinque atti, completa in appendice delle parti soppresse da Verdi tra cui il “ballo della Peregrina”. Nel cast Plácido Domingo, Katia Ricciarelli, Ruggero Raimondi, Nicolai Ghiaurov, Lucia Valentini Terrani e Leo Nucci.  

È Riccardo Muti nel 1992 a riportare Don Carlo al 7 dicembre, nella versione in quattro atti sfarzosamente portata in scena da Franco Zeffirelli con Luciano Pavarotti, Daniela Dessì, Samuel Ramey, Luciana D’Intino e Paolo Coni. Nel 2008 Daniele Gatti dirige la prima Anteprima Under30 il 4 dicembre e quindi inaugura la Stagione con una versione integrale delle versioni in 5 e 4 atti in italiano a cura di Ursula Günther, inclusiva degli inediti. La regia è di Stéphane Braunschweig, cantano Stuart Neill, Fiorenza Cedolins, Ferruccio Furlanetto, Dolora Zajick, Dalibor Jenis e Anatoli Kotscherga. Lo spettacolo viene ripreso nel 2013 con Fabio Luisi sul podio ma gli atti diventano quattro; in palcoscenico Fabio Sartori, Martina Serafin, René Pape, Ekaterina Gubanova, Massimo Cavalletti e Štefan Kocán.  

Ancora in cinque atti in italiano l’ultima apparizione scaligera del titolo, nel 2017 nell’allestimento salisburghese di Peter Stein con Myung-Whun Chung e il debutto di Francesco Meli come Don Carlo al Piermarini insieme a Krassimira Stoyanova, Ferruccio Furlanetto, Ekaterina Semenchuk, Simone Piazzola e Orlin Anastassov. 

(Adnkronos)